Intervista: SETHU “tutti i colori del buio” è imparare a convivere con i propri up e down

Si intitola “tutti i colori del buio” l’album di debutto per Sethu. 

Un disco che racchiude un periodo di grande buio. Un buio interiore che Sethu aveva già fronteggiato in passato, dovuto a demoni interiori che non l’hanno mai realmente abbandonato, in cui è ricaduto prima ancora che potesse rendersene conto sino alla scelta di tornare in terapia, punto di svolta per la scrittura del nuovo album.

Abbiamo incontrato Sethu e con lui siamo andati nel profondo della sua visione sonora e lirica. 

LA VIDEO INTERVISTA 

TRACCIA PER TRACCIA 

1. questa è la fine

“questa è la fine” è nata fin da subito come intro per dare contesto al viaggio del disco e partire da una fine, quella del mondo. Infatti se in tutto l’album si parla molto di ciò che ho dentro, in questo brano parlo di ciò che ho attorno, fuori da me, descrivendo la cornice entro la quale vivo, faccio le mie esperienze e sto cercando di trovare la mia strada.
Mi affaccio sul mondo e lo vedo andare a rotoli, ardere, sciogliersi e innondarsi. Vedo le persone che lo abitano dividersi tra chi è divorato dall’ecoansia e chi la nega, chi cerca vie di fuga e chi si perde nel mantra della produttività: i soldi, gli amici, la scuola, la droga, la noia, il clima, il futuro, la moda; cresci, lavora, ripetilo ancora.
Questa visione apocalittica è un qualcosa che è molto vicino alla mia generazione. Noi siamo cresciuti con questi lasciti dal passato che ci incombono addosso. Precariato, paura del futuro, ecoansia, ecc. Abbiamo un male per tutti.
Anche volendo fare musica, lo sto facendo in un mondo che non so nemmeno se sarà abitabile tra 50 anni.

2. per noia

Come manifestato sin dal titolo, questo brano parla di noia, un sentimento generazionale che sfiora l’apatia e la disillusione. L’ho inteso qui come corrispettivo del non sentirsi vivi. Credo che a molti capiti ormai di cercare di colmare un vuoto interiore attraverso relazioni effimere, più o meno occasionali. Per non parlare di abitudini come il fumo o altre dipendenze.
Nel testo ho inserito un’immagine che riassume bene il senso del brano: siamo una pistola che non spara più. E’ il modo con cui descrivo l’essere carichi di voglia di aggredire il mondo, affrontarlo di petto, ma ritrovandoci a vent’anni molto più stanchi, annoiati, bruciati di quanto dovremmo essere. Siamo inceppati, disarmati, senza cartucce da sparare.
E’ la prima canzone veramente breakbeat che ha aperto la strada su questo mondo ritmico e di sound. Da qua si è aperto questo scenario che ha coinvolto anche altri pezzi del disco.

3. i ragazzi perduti

Questa è la prima canzone che abbiamo scritto grazie al ritorno in terapia. É la traccia-manifesto del disco, quella che al contempo descriverei essere la più personale e universale di tutte. Riesce a toccare tanti temi differenti, anche molto pesanti, come il suicidio, ma lascia spazio alla speranza. E si rivolge a un “tu” che corrisponde a me, Sethu, ma che potrebbe parlare vis a vis a chiunque l’ascolti.
Il testo mi tocca molto, resta una ferita aperta per quanto mi sento ancora nel pieno di quello che canto. Continuo a emozionarmi molto quando la riascolto.
Il messaggio è: nonostante ti senta perso e smarrito, un giorno anche tu riuscirai a ritrovare te stesso e stare bene. Dalle lacrime nascerà qualcosa di buono, anche se oggi ti sembrano vane. Un giorno andrà meglio, questo dolore ti sarà utile.

Il titolo è una traduzione diretta di “The lost boys” (regia di Joel Schumacher; 1987), ulteriore legame all’immaginario vampiresco.
Un’altra reference, stavolta musicale, si può individuare nel controverso “Cannibal holocaust” (regia di Ruggero Deodato; 1980) per la colonna sonora di Rizzo Ortolani, che abbiamo ascoltato innumerevoli volte al fianco delle ballad di Beatles, David Bowie e tutto quel repertorio degli anni Sessanta caratterizzato dal suono del mellotron.

La voce iniziale è di Emma Galeotti, di cui ho colto una sensibilità nascosta dietro l’ironia, in cui mi rivedo molto. C’è dell’affinità e ho pensato di coinvolgerla con un piccolo contributo vocale.

4. vandalizzami il cuore

Nata da un appunto nelle note, questa canzone ha una lunga sequenza di immagini che culmina in quella delle lacrime che rigano e fanno arrugginire il volto della persona: ti sei fatto una corazza, ma le lacrime l’arrugginiscono.
É stata la produzione di Jiz a dare lo slancio per la scrittura del pezzo, pur essendo una delle produzioni più minimali e spontanee dell’album.

5. ossa rotte

Jiz è stato decisivo su questo pezzo. Lui ne è un grande sostenitore per le strofe che ho scritto. Anche se un tempo eravamo a pezzi entrambi, riuscivamo ad abbracciarci nonostante tutto. É un brano dal mood più nostalgico, in cui mi calo tra i ricordi di rapporti passati.
L’augurio è quello di riuscire a volersi bene al di là del male vissuto.

La produzione è minimale e sporca, con l’inserimento di chitarre più grezze rispetto alle produzioni precedenti di Jiz.

6. troppo stanchi

“troppo stanchi” è l’unico pezzo del disco ad essere nato con largo anticipo rispetto agli altri, presente nei miei hard disk di lavoro già da un paio di anni. É il manifesto di come mi sento, un brano molto intimo che cresce di intensità sino all’esplosione.
Siamo troppo stanchi per la nostra età è uno slogan che sento essere estremamente reale, che riassume come tanti di noi vivono e rincorrono il sogno di essere felici – una tra le cose più scontate ma difficili che io possa immaginare – ma si sentono troppo stanchi, vittima di un’illusione. É il peso che ci sentiamo gravare addosso.

7. problemi

Questo è il pezzo dal sound più giocoso, ma il messaggio è chiaro: ho più problemi che amici. Quando cresci ti inculcano aspettative e obiettivi socialmente condivisi che se vengono disattesi, si trasformano in guai che devi risolvere da solo (troppe aspettative ti uccidono, per questo muoio mentre gli altri vivono ? quando ero piccolo avevo quest’incubo dove io crescevo ed erano soltanto problemi). Mi ritrovo assillato da preoccupazioni, ansie, insoddisfazioni. Problemi che derivano tanto dalle aspettative che ho interiorizzato quanto dal mondo che mi circonda.

La produzione di Jiz bilancia la presa male del testo con un ritmo reggae dalla produzione boom-bap ispirata ai Clash. Un mix sporcato anche qui da quelle chitarre grezze che creano coerenza con tutto l’album.
La voce che proclama i “problemi” in testa al brano è un campione di Carlo Vanzini.

8. sottopressione (non mi avranno mai)

Il ritornello di “sottopressione (non mi avranno mai)” è nato un anno e mezzo fa, completato negli scorsi mesi come la perfetta traccia da pogo, introdotta da una citazione di “Spara Jurij” dei CCCP. É un momento immancabile nei miei live, tanto che con questo album ho voluto trovargli uno spazio dedicato e su misura per vedere la folla andare in visibilio, divertirsi, sfogare tutta la carica che ha in corpo.
Tutta questa sommossa si lega al mio background di ascolti punk e rap hardcore – CCCP, DSA Commando, Idles – e dei tanti live fatti nei centri sociali liguri, in situazioni decadenti ma fomentatissime.

Questa canzone è tutta pane e realismo. Raccoglie in sé il malessere e i momenti di difficoltà, incluso gli episodi di attacchi di panico e l’ultimo posto al Festival, sfogandoli a pieni polmoni. É una canzone rabbiosa per sbollire e sbottare allo stesso tempo, è il “vaffanculo” a tutte le aspettative che mi hanno braccato negli ultimi anni.
É un pezzo che mi permette di togliermi qualche sassolino dalla scarpa, ma senza entrare in polemica con nessuno. Al massimo sfioro qualche simpatica provocazione autobiografica.

9. napalm

Questo è uno dei pezzi più sentimentali e tra quelli scritti più di recente del disco, attinente al filone breakbeat. Una metafora dell’esplosivo Napalm applicato all’amore per raccontare un amore finito che ti brucia ancora dentro.

10. triste vederti felice

Quando un po’ di tempo fa sono tornato nella mia città, Savona, sono stato in posti che mi hanno fatto rivivere alcuni ricordi legati a relazioni passate. Il mio animo nostalgico e dalla presa a male facile, ha trovato l’ispirazione per scrivere “triste vederti felice”. Come sempre accade per la mia musica, ci ho messo dentro un pezzo della mia vita personale e ho voluto parlare di quando vedi le persone che hai amato andare avanti per la loro strada e vorresti essere felice per loro, ma non sempre ci riesci perché a volte i ricordi ti fanno annegare. E ti aggrappi alla nostalgia.

11. tutti i colori del buio (outro)

Questa traccia è nata dal desiderio di avere uno skit, escamotage molto frequente nelle produzioni dell’underground e del rap, che fosse quanto più sincero possibile e completasse la narrazione dell’album. É nato dalla registrazione di una conversazione tra me e Jiz in cui, facendo un viaggio pindarico su come ci saremmo immaginati la copertina del disco, mi racconta di come la trasformazione del vampiro rappresentasse me e la mia discesa nella depressione. “Questo sei tu”.
La parte musicale invece si basa su un riff di chitarra molto emotivo e una brevissima parte cantata a cui affido il messaggio ultimo di speranza: anche se pensi che nessuno si accorgerà del tuo buio e ti senti solo nello smarrimento, lì fuori c’è qualcuno per te che vuole vedere e capirà tutte le sfumature del tuo stare male. C’è chi ti capirà.

Ho un legame molto stretto con i miei fan. Molti di loro li sento periodicamente su un gruppo telegram e so che le mie canzoni hanno avuto un impatto su di loro, si sono riconosciuti in quello che canto.
Con questo album desidero di cuore che loro sentano la mia vicinanza. E spero che chiunque lo ascolti possa anche comprendermi meglio, conoscendo le sfumature del mio buio.

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ph: Sethu_byClaudiaCampoli

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